E’ l’ora blu. L’ora peripatetica
che abbraccia gli ubriachi e le cocotte.
L’ora che i ladri a rimpiattino giocano
con le guardie notturne. E’ mezzanotte.
Lascio la strada grigia, i vecchi vicoli
cari al mio cuore, dai palazzi eguali,
con le finestre spente che sonnecchiano
cullate dal giallore dei fanali.
La mia stanza sommersa dalle tenebre
m’accoglie. Siedo pigro accanto al fuoco,
nel mentre i miei pensieri si rincorrono…
socchiudo gli occhi stanchi, a poco a poco.
E mi rivedo adolescente e pallido,
(avverto un nuovo palpito nel cuore)
cercare versi piani e versi sdruccioli
per la mia prima poesia d’amore.
Mi sorprendo nel borgo, fermo all’angolo
d’un violetto cieco (sembra strano),
mentre mi viene incontro una fanciulla e, trepidi,
ci sperdiamo nell’ombra a mano a mano.
Ma chi sarà quel tale che gesticola
tra la folla? Ha una luce vivida
negli occhi, e parla di un Impero in Africa
gridando forte: “Duce! Duce!?”
E quel soldato biondo che ha lo zaino
sulle spalle? Avrà meno di vent’anni
quando parte per il fronte e va a dividere
con tanti altri pericolo ed affanni.
E adesso all’improvviso perché crepita
quella mitraglia? Il cielo, così nero,
si tinge di rosso e di rossastro illuminando
un monte. Un monte? E’ Quota Monastero!
E chi è quel caporale smunto e lacero
chiuso in un campo, in un reticolato?
Che cosa ha fatto? E’ forse un senza Patria?
Oppure la sua Patria l’ha scordato?
Chi è mai quell’uomo che è tornato a Napoli?
Che cosa cerca? Il sogno suo distrutto?
Chi è quel disoccupato? Chi è quel reduce,
che non ha avuto nulla e ha perso tutto?
Mi scuoto. Il fuoco è diventato cenere.
Son solo e mi domando: cos’è stato?
Le ombre son svanite, ma cos’erano?
Quelle ombre?… Tutto il mio passato.
Giuseppe Carullo, Le stagioni del poeta