L’assenza è ombra di questi giorni, riempie i polmoni, rimane nella bocca, risale nel letto dall’esofago, l’assenza non mente. A tavola occupa il suo posto, in cucina si fa cibo, si mescola nei gesti di sempre, è una risposta, sempre la stessa, a una domanda non posta. È un’equazione che non puoi risolvere, ti cresce dentro, ci cresce dentro, nidiata dei giorni di festa, seme nutrito da ricordi di attimi perduti. Gli ultimi giorni di dicembre si vivono a sottrazione, si conta quello che manca, non quello che c’è o ci sarà, le ore di buio amplificano la memoria, i fuochi della notte più lunga fanno cadere i cuori di chi non sa dimenticare. L’assenza batte nel petto, secondo muscolo che scandisce i giorni del Natale, si incolla alle piccole cose di casa, si traveste di colori, la ritrovi in un dettaglio, nella teglia di ghisa che ospita l’arrosto che profuma alla stessa maniera di un tempo, in un corridoio che attraversavi di corsa al buio con i piedi scalzi, nell’antico gioiello appeso al collo di chi per una sera torna a sentirsi figlia più che madre. L’assenza è una conversazione con persone di un’altra epoca, è
un odore che avevi in testa senza saperlo, il sigaro lasciato su chissà quale posacenere, risale in superficie nell’increspatura di un volto che sorride come sorrideva un volto passato, è la sagoma del corpo sulla poltrona nell’angolo, il breve silenzio che segue l’aneddoto divertente durante il pasto, l’accenno di cosa è stato e sarebbe potuto essere, un insieme di propositi che puoi vedere solo tu, grumi di famiglia lanciati sulle
tavole imbandite.
Mi piace pensare che non sia assenza, solo l’invisibile, che c’è, anche se non si vede, e aiuta a sentire dentro, a ricordare tutto insieme, come alla fine di un libro, quando torni a sfogliare le pagine. Non è tristezza, solo malinconia, brezza leggera che scompiglia gli animi capaci, un pizzicore che non fa male, ma lascia il livido. Si nutre di immagini mai scattate, è l’ora più bella, anche se non lo è stata davvero, non è erba cattiva, porta pace, un cunicolo scavato dalla magia del vivere profondamente,
d’istinti ancestrali. Ti crea uno spazio interno di vuoto da riempire poi, nelle
settimane di corsa, l’esistenza più facile.
L’assenza di questi giorni è una pausa, tempo che si dilata, un prender fiato, una
forma d’amore, il bacio della buonanotte che non ricordavi. È la croce solitaria sul picco della montagna, la conquista di un attimo, tutto il respiro possibile prima della discesa.
Alle nostre assenze, alle vite in salita, alle scalate impervie e al fiato spezzato, a un altro modo di vedere le cose, al timido sorriso che ci piega ancora per un po’ gli angoli della bocca, finita la festa.
Lorenzo Marone
