L’ascesa di Geolier nel panorama musicale napoletano e la sua partecipazione a Sanremo proprio di questi giorni, stanno scatenando un dibattito acceso, diviso tra chi applaude al suo sound innovativo e chi critica la sua interpretazione della lingua napoletana.
Questo mi fa tornare alla mente un episodio personale che risale a qualche anno fa, quando feci ascoltare a mio padre un brano di Pino Daniele per la prima volta. Ero piena di entusiasmo per questo nuovo sound partenopeo, convinta che anche lui potesse apprezzare, considerando che tra le sue tante espressioni artistiche c’era anche l’attività di autore di canzoni napoletane.
Tuttavia, la sua reazione fu inaspettatamente critica: “Nun se capisce niente quanno canta”, sentenziò categoricamente. Non importò cambiare canzone, la sua opinione rimase ferma. Per lui, Pino Daniele non sapeva cantare né scrivere testi.
A quell’epoca, mio padre non era il solo ad avere questa posizione; c’era un intero movimento di vecchi cultori e difensori della tradizione canora napoletana che la pensava come lui. Eppure, nonostante questa resistenza iniziale, Pino Daniele conquistò prima il cuore della generazione contemporanea, per poi diventare un’icona anche della musica italiana.
Quello che voglio dire è che la controversia attorno a Geolier non è una novità. C’è sempre stata e ci sarà sempre una resistenza al nuovo, a chi rompe con la tradizione e propone un proprio modo di interpretare Napoli. Personalmente, non mi dispiace affatto. Nonostante non sia più giovane, conservo ancora intatta la voglia di stupirmi e di abbracciare le nuove sfide.
