Piove. La sera scende triste, lenta, e avvolge i nostri cuori in ansietà. C’è attorno un’aria greve che sgomenta. La tenda è immersa nell’oscurità. Golino tace, poi tossisce e fuma una cicca di fieno e di tabacco che ha trovato vagando nella bruma. Poletti si distende sopra a un sacco. Piove. La pioggia cade furiosa, poi penetra per una sdrucitura della tenda, s’insinua, ed ogni cosa bagna nel buio.
“Bella fregatura!” borbotta Resi.
“Quanno schiara juorno – sentenzia Tore Esposito – vedite… ‘a chesta priggiunia nun c’è ritorno…”
“Vuie, bedda matri, malaurio site!”
“Che fame! Dio, come si fa a campare?”
“Da tre giorni mangiamo acqua e carote.”
“Qui ci fanno soltanto lavorare…”
“Solo lavoro! E sempre pance vuote!”
All’improvviso giunge una folata di vento ed entra, rapido, un compagno. “Che tempesta, mannaggia, ho fatto un bagno!” sbotta irato. “Un cerino” – poi mormora impaziente.
C’è un pezzo di candela. Su, ecco fatto. Brilla una fiamma tremula. Il sergente Caruso ha tra le mani un piatto. Un piatto?
“Che sso’?”
“Patate”
“Che?”
“Piano… sò patate!”
“Crude?”
“Macchè, son cotte”
“E parla, quale sant’uomo te l’ha… ”
“Nessuno… l’ho rubate!”
“Rubate? E dove? A chi?”
“Laggiù… al maiale!”
Giuseppe Carullo, isola di Creta, 1944