“L’orologio dalle lancette blu” di Alberto Libeccio

Devo premettere che mi sono approcciata alla lettura de L’orologio dalle lancette blu con molta curiosità, trattandosi dell’esordio letterario di una persona che conosco bene e che mai avrei immaginato potesse un giorno cimentarsi con la scrittura di un romanzo. E invece, è succieso! Ed eccomi qui a parlarvene.

Come scrive Giovanni Rivera nella prefazione al libro, Libeccio interroga in “maniera postuma la memoria di un padre “reticente” sul suo passato di guerra e di prigionia, ricostruendo l’intera vita, con le vicende precedenti e susseguenti quegli anni più densi e significativi”.

Lo stile dell’autore, fluido e chiaro, mi ha immediatamente catapultato nella storia di Giovanni e mi ha tenuta incollata alle pagine, che ho praticamente divorato in un week-end. Mi sono anche commossa per gli accadimenti vissuti e le decisioni prese dal protagonista del romanzo, che mi hanno ricordato il mio papà. Anche lui, come Giovanni, partì da Napoli per la guerra; anche lui, come Giovanni, fu fatto prigioniero dai tedeschi e rinchiuso in un campo di concentramento; ma soprattutto anche lui, come Giovanni, riuscì a sopravvivere alle avversità e a rientrare in patria.

A mio parere l’esaltazione dello spirito di adattamento e della forza di non arrendersi mai dei nostri padri sono i tratti salienti di questo libro, che ho molto amato e che vi consiglio di leggere.

Anche perché il tema dei ricordi, come ben sapete, mi è molto caro. Sembrano vecchi abiti appesi in un armadio che nessuno apre più, cimeli di un passato lontano, da rievocare solo in momenti di nostalgia. E invece, quando poi emergono richiamati dalle svolte impreviste della vita, si rivelano per quello che sono: compagni silenziosi e discreti del nostro cammino, che determinano – in modo per noi inconsapevole ma inevitabile – la rotta delle nostre scelte.

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Ex-giocatrice di calcio, appassionata di Napoli e del Napoli. Amo scrivere 🖋

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