Giungeva Natale
fra suoni lontani e vicini di allegre zampogne.
Nell’aria volavan lontano
sperdute dal vento
le ultime aride foglie
di pioppi e castani.
Alle prime luci d’un pallido sole
c’eravamo lasciati tranquilli
– seguendo due opposte strade – diretti al lavoro.
Il babbo m’avea salutato
baciandomi in fronte.
Ed io l’avevo visto allontanare
con passo affrettato, sereno.
Andava incontro al destino,
al triste crudele destino.
E lo rividi immobile
con gli occhi volti al cielo e il volto scarno.
Livido, freddo, muto.
La morte l’avea colto di schianto.
Forse mentre pensava alla famiglia lontana,
al suo piccino.
Il cuore a tradimento
avea cessato i battiti
e la vita s’era spenta
come flebile fiammella.
Natale.
Tutt’intorno fra fuochi d’artificio e schioppettii festosi,
rintoccavan le campane,
mistiche e liete.
Mentre in ogni cuore era dolcezza e gioia, nella tacita casa
mamma curva sulla culla del bimbo che dormiva sereno, in uno slancio d’affetto l’avea stretto sul cuore.
Dalle imposte sussurrava il vento un ritornello lento
mentre le lagrime represse
ora sgorgavano
dalle pupille mie arrossite e stanche.
Giuseppe Carullo