Il riccio e la camelia, metafore di fragilità e bellezza

L’eleganza del riccio di Muriel Barbery

In un palazzo elegante di Parigi, in cui i salotti dorati dell’alta borghesia si susseguono con un’eleganza apparente, vive Renée, la portinaia. Nessuno potrebbe sospettare che dietro la sua figura dimessa, dai vestiti lisi e dalla scontrosa indifferenza, si nasconda un animo insaziabile di bellezza e sapere. La sua espressione è sempre in ombra, come se nascondesse un mondo segreto dietro l’apparenza sciatta e ruvida. Eppure, quando è sola, Renée si rifugia nei libri di filosofia, nei film giapponesi e nella musica classica, come una collezionista di tesori celati.

Tra gli inquilini del palazzo c’è Paloma, una ragazzina di dodici anni dall’intelligenza insolita, che osserva il mondo con un disincanto adulto. Paloma nasconde a tutti il suo progetto più segreto: il giorno del suo tredicesimo compleanno intende porre fine alla propria vita. Nel frattempo, si mimetizza tra le coetanee, calando una maschera di normalità che però non può nascondere del tutto il suo sguardo profondo, quasi esasperato, come se fosse troppo stanca per la vita stessa.

Il destino di Renée e Paloma sembra destinato a non incrociarsi, ma è l’arrivo di Monsieur Ozu, un distinto giapponese, a intrecciare i loro mondi. Ozu vede oltre l’apparenza di Renée, riconoscendo in lei la ricchezza interiore che gli altri ignorano, e la spinge a liberarsi dal suo nascondiglio. Anche Paloma, osservando questo incontro, è toccata da una nuova comprensione della vita, intravedendo nella complicità tra Renée e Ozu una forma d’amore che trascende ogni definizione. Lentamente, il suo sguardo sul mondo cambia, come se la delicatezza di Renée e la saggezza di Ozu le offrissero un rifugio.

La metafora del riccio attraversa il romanzo, alludendo alla durezza esteriore che protegge un cuore straordinariamente sensibile, a un’eleganza invisibile che aspetta solo di essere scoperta. I legami tra questi personaggi si imprimono l’uno sull’altro come segni indelebili, che resistono anche alla distanza, come impronte invisibili che non si possono cancellare.

Il finale, toccante come un’onda silenziosa, mostra la fragilità e la bellezza dei legami umani, evidenziando quel “mono no aware” della cultura giapponese, una consapevolezza malinconica che ogni momento vissuto sta già scivolando via. Così, come una camelia che si appassisce dolcemente, questo libro lascia nel cuore un mazzo di emozioni da conservare, intrise di quell’eleganza struggente che nasce dall’incontro tra anime troppo sensibili per un mondo che non riesce a comprenderle.

Nulla è mai come sembra, nulla è mai come appare

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