Anche il cuore più devastato dal vuoto, tenta evidentemente di sentire qualcosa
L’isola dei senza memoria di Yoko Ogawa, ha una trama che solo a leggerla scatena un’ondata di entusiasmo non indifferente.
Su un’isola imprecisato la vita degli abitanti è scandita dalle sparizioni: alcune mattine essi si svegliano e scoprono che il ricordo di qualcosa è andato perduto, scomparso per sempre. Può essere un veicolo, o un animale, o un frutto, insomma un oggetto qualsiasi. Insieme al ricordo, spariscono anche le sensazioni: non si sa più cos’è, non si sa più come si chiama. Quando una sparizione si verifica c’è qualcosa di diverso nell’aria e tutti devono affrettarsi a liberarsi di ciò che è scomparso, se lo posseggono. La Polizia Segreta dell’isola controlla che non sopravviva niente, ma soprattutto si assicura di eliminare tutti coloro che non perdono la memoria e che conservano nel loro cuore i ricordi che gli altri, invece, via via vanno perdendo.
Non aspettatevi una narrazione veloce e ricca di colpi di scena, perché non è così. L’autrice del romanzo, Yoko Ogawa, procede con lentezza, permettendo al lettore di entrare nel racconto pian piano. Si percepisce l’atmosfera di immobilità che permea l’isola, l’impossibilità di migliaia di abitanti di scappare e sottrarsi al loro destino, l’ineluttabilità di un fenomeno incontrollabile e inarrestabile, che fa della perdita un evento comune, a cui abituarsi e adeguarsi. Lo stile di scrittura è delicato, fatto di frasi semplici e brevi, nelle quali spesso i termini si ripetono. Anche quando racconta cosa sta facendo la protagonista – una scrittrice con un passato particolare che si è rifugiata sull’isola per scrivere un romanzo – il tono utilizzato è sempre lo stesso: pacato, cadenzato. Sembra quasi di leggere una melodia rilassante, ma così non è, perché lo stile fa da contrasto alla curiosità, all’incertezza e all’agitazione del lettore, preoccupato per il destino dell’isola.
Come ci si sente a non perdere mai niente di quello che si ha nel cuore?
È una domanda difficile!
Il cuore non si riempie fino a esplodere?
No, non esiste questo pericolo: il cuore non ha contorni definiti né confini insuperabili. È in grado di accogliere ogni forma e può scendere a qualsiasi profondità. Anche per i ricordi funziona così.
Mano a mano che la lettura prosegue e che un epilogo si avvicina minaccioso, si fanno sempre più frequenti le riflessioni e le domande della protagonista: è possibile che un’umanità privata sempre più del ricordo sopravviva? Il cuore di una persona che dimentica rimane lo stesso o si deteriora pian piano? La Ogawa a tal proposito sembra avere le idee chiare: la memoria costruisce la nostra identità, la nostra anima, non è la scomparsa dei concetti, delle cose, il problema, ma piuttosto la perdita del legame che essi creano tra l’uomo e il mondo. Una rosa è solo una rosa, ma con la sua scomparsa non è più possibile sentire il suo odore, né ricordare la prima volta che ce ne hanno regalata una. Immaginiamo un mondo privato di fiori, della loro bellezza, della sensazione di felicità e tranquillità che anche indirettamente suscitano, pensiamo a un quotidiano senza fotografie, senza compleanni, senza profumi, e chiediamoci: se tutti i ricordi e le sensazioni del passato pian piano dovessero scomparire, come potremmo ricordarci chi siamo stati?
Fortunatamente, per la Ogawa, c’è uno strumento che può salvare i ricordi, che può conservare la memoria al posto delle persone: i libri. La parola scritta è l’ultimo baluardo di speranza contro la scomparsa del mondo.
Sono d’accordo!