Le note cominciano e salgo i gradini mentre iniziano ad essere convinte e nitide. Non sento più i graffi metallici del treno, il giorno comincia con quel pezzo e io e loro, la gente, ci accalchiamo nel vagone e contro i finestrini.
Guardano i miei capelli (li voglio lunghi poi cambio colore qualcosa di mio di stile. Uffa, odio sentirmi stanca appena sveglia).
Sentono la mia musica (lui potrebbe capire cosa ascolto, ho il volume alto. Magari mi dice qualcosa, stacco la cuffia e cominciamo a parlare di me di lui del treno della musica e poi… chissà dove scende).
Guardano le mie dita (unghie rosicchiate, maledetti esami maledetto stress maledetto lui).
Non è spiacevole per me questo viaggio quotidiano che è un alternarsi di cielo e gallerie buie, una confusione di corpi e facce di tutti i tipi. Quando la giornata comincia a svegliarsi, ed anch’io, il treno è una confusione da scoprire e definire e guardare, una composizione di elementi disobbedienti e sfuggenti nel caos delle fermate e dei posti a sedere, un mescolarsi di sguardi fra sconosciuti e copertine di libri e squilli polifonici di telefonini. La giornata si sveglia ed il treno accompagna la moltitudine, ognuno verso la sua vita, tutti sullo stesso treno, ognuno con una vita diversa. Tutto questo e poi me, lo sguardo perso tra la gente, al ritmo dei binari, ondeggiando e seguendo i graffiti sui muri delle gallerie. Me, che seduta nel treno sulla giornata che si sveglia, immersa tra la gente a respirare aria respirata dalla gente del treno, cerco di scoprire, definire, guardare ed indagare la gente così conosco persone. Indagare definire e scoprire il treno, enorme stomaco di metallo che contiene il germe delle nostre vite intrappolato nello scorrere di binari già tracciati, in attesa di destinazione. E poi… capolinea.
Ilaria Iodice