I napoletani hanno ammansito e ammortizzato nel corso di secoli l’incubo di convivere sotto un forno colossale. Ereditano da una generazione all’altra un corredo di storie catastrofiche, di avvertimenti, miracoli, minacce e una vasta raccolta di eruzioni illustrate. E’ un popolo tellurico, perciò inventore della tarantella presso il lungomare sulla spiaggia. Perchè quello è il confine, e tu abiti la striscia tra un vulcano e i pesci. Perciò abbiamo nervi comuni con i tarantolati del mondo, apparteniamo all’internazionale degli strapazzati, parenti di cileni e giapponesi, più che di padani.
Un popolo tellurico, lo riconosci da come guarda il mare: con affidamento. Da noi pure quando è in burrasca è visto come via di fuga. Dall’incendio del suolo e del cielo, unica salvezza è il mare. Pure se si svuotano le budella roventi dell’inferno, il mare le saprà fermare. Un popolo tellurico vede nelle ondate che spazzano il golfo una forza di pace contro l’insurrezione periodica del fuoco. Si è dato un santo apposta, Gennaro, pratico di eruzioni, stratega difensivo che ha dato il meglio di sè non tanto nello squaglio e nel riquaglio della sua reliquia benedetta ma al Ponte della Maddalena dove alla testa del popolo sotto forma di statua ha fermato il fiume di fiamme. Il vulcano è per il nostro popolo più certo della stella polare. Non tutti i napoletani dentro le loro case sanno indicare al di là del soffitto dove è il carro dell’Orsa. Ma ognuno in qualunque stanza si trovi, sa dire per certo dove sta il Vesuvio.
Da lì discende il resto dell’orientamento. Perchè il vulcano è un faro piantato nel sistema nervoso.
Erri de Luca
Popolo tellurico
